Alcune giornate nascono così per caso e anche se la notte precedente le ho sognate criptate, hanno quel sapore indefinito di momenti che non sai dove portano.
Andare al Capodanno Cinese è scegliere di buttarsi in piazza (un po’ come per il nostro Capodanno) e sapere che ci sarà gente (tanta) e casino (tantissimo).
Cosi l’opzione più giusta mi sembra quella di una piccolissima borsa controllabile a vista e della macchina al collo; un solo obiettivo ahimè….decido per il 14-24, per il taglio reportagistico certo, ma soprattutto per educarmi alla visione ampia, in cui credo di avere un deficit.
Arrivo in anticipo (due ore rispetto all’orario previsto per l’inizio dei festeggiamenti) e mi trovo davanti un palco mastodontico ben transennato ed ecco che comincio a rimpiangere di non aver portato il mio amato teleobiettivo e immagino foto orribili di piccolissimi puntini colorati che si muovono sul palco…foto inutili.
C’è con me Pablo però, che a vederlo non lo diresti ma ha sempre una carta vincente (me lo dicono sempre le sue foto, non dovrei dimenticarlo), ha già trovato il modo di salire sul palco.
A questo punto c’è poco da discutere: sarà tutto un backstage.
Backstage che riserva molte sorprese tra l’altro, come le chiacchere con la presidente “rapporti Italia-Cina”, la conoscenza del maestro Liberato Mirenna (che ha una scuola shaolin importantissima a Roma), i cantanti, il presentatore che parla un bellissimo italiano, gli artisti che si preparano…
L’aria dietro le quinte sente la pressione del ritmo del palco, ma i ragazzi sono sorridenti, sono distesi e preparati….sentono solo molto freddo. C’è il sole, è vero, il tempo è stato clemente, ma il vento è gelido e i costumi brillanti e decorati sono leggerissimi, fatti per consentire i movimenti, non per ripararsi dal freddo.
Si percepisce il clima di festa, qualcuno fuma, qualcuno mangia dei dolcetti confezionati che girano nei camerini, qualcuno canta seguendo la musica dello spettacolo, qualcuno si allena….tutti si prestano alla foto: si fermano e si mettono in posa, gentili, leggeri, tranquilli.
Mentre scatto penso a tutte queste foto sbagliate: penso che si vedrà nelle mie sgrandangolate la struttura del palco, il blu dei camerini prefabbricati, i bagni da cantiere, i camion delle luci, i fili che serpeggiano a terra, le persone dello staff e della sicurezza che camminano…e mi consola il pensiero del ricordo di questo momento tutto per me, che non sono a lavoro, che scatto per il piacere di scattare, che sono fortunata ad essere qui dietro….ovvio che non avrò quell’appagamento da “foto buona” che purtroppo contraddistingue i fotografi e li rende esseri vanitosi, che sia uno spreco di opportunità? Ma nooo…è un tesoro personale, una cosa da raccontare agli amici….e se invece fosse più giusto onorare questa posizione privilegiata? Non se lo meritano forse questi visi così belli? Sembra che ci siano volute ore a truccarli…..ok, allora toglierò a Photoshop tutto quello che posso e pulirò le foto….maddai è valsa la pena comunque, pensi che gli altri non hanno tutti i difetti dietro? Pensi che non siano tutte foto sbagliate?
Sarà soltanto dopo, a casa, davanti al pc, che tutto questo casino mentale svanirà per lasciare il posto a un senso di pace fotografica. Guardo le foto un paio di volte e le foto mi piacciono. Mi piacciono sbagliate. Mi piacciono perché conservano il sapore di questa giornata, che è iniziata casualmente ed è stata scattata casualmente. Mi piacciono perché non impegnano, sono leggere come i salti di quei ragazzi acrobati con cui ho parlato e fumato. Mi piacciono perché parlano di me e raccontano di loro…se fossi stata in piazza chissà? Sarebbe stato un Capodanno come un altro e le foto…l’ennesimo esercizio di stile.