Ogni tanto, tramite un diabolico meccanismo di catene
internet, ricevo sulla mail delle presentazioni in power point che
variano dalla barzelletta alla raccolta di foto mozzafiato.
Strano a dirsi ma questa rete di contatti, maledizioni, portafortuna, “inoltra entro un minuto o muori”, quiz e test d’intelligenza, proviene dalla mia lista di amici. Per motivi a me ancora oscuri (perché non sono solita insistere nello spedire la stessa comunicazione) alcune di queste mail arrivano più di una volta, stanche di chissà quale giro infinito, avanti e indietro…avanti e indietro nel web…
È con la stessa stanchezza che guardo a volte questi PPT pieni di scritte poetiche e musiche smielate, con il giusto disincanto di chi sospetta che quella non sia proprio tutta la verità.
Così, quando scendendo le scale del mio hotel a Bangkok, mi sono imbattuta nell’omino delle escursioni che mi mostrava tutto fiero il suo catalogo fatto di ritagli e foto sbiadite sono rimasta interdetta: ho riconosciuto alcune foto che avevo ricevuto tramite posta elettronica!
Il mio modo di viaggiare è del tutto casuale, contro ogni percorso deciso prima della partenza, contro gli alberghi all inclusive e contro le escursioni premeditate…di solito mi occupo solo del biglietto aereo e poi mi affido ai buoni consigli di una guida lonely planet o alle dritte di chi c’è già stato, o di qualcuno che conosco sul posto e del posto…ma in questo caso la curiosità della coincidenza mi spingeva verso una verifica, quantomeno verso la prova tangibile dell’esistenza reale o pittoresca di un luogo raccontato da un file.
Ho contrattato un prezzo che mi garantisse spostamento e biglietto di ingresso e ho aspettato il giorno concordato, direzione: Tempio delle Tigri.
Dalla capitale, ci vogliono circa tre ore di macchina per arrivare (sosta più, sosta meno), il percorso, nel suo tratto finale, si arrampica un po’ ed è di un verde interminabile.
All’ingresso del tempio fanno qualche raccomandazione: anche rimanendo da soli è impossibile perdersi, le cartine sono chiare, i percorsi definiti e inoltre, assicurano, “le nostre tigri sono vegetariane”.
Improvvisamente mi ricordo di quanto detesto gli zoo. Dell’odore acre, degli sguardi rassegnati degli animali, liquidi e profondi, mi ricordo della tristezza che mi mettono nel cuore il non colore delle gabbie e le aiuole incollate intorno ai vialetti. Avverto lo stesso senso di disagio…ma quello che mi appare, superato il cancello di ingresso, non è uno zoo. È uno spazio grande, aperto, polveroso e rossastro dove passeggia qualche animale (cinghiali, cerbiatti, gnu, galletti….un cammello!), nessun felino. La mappa è chiara: le tigri sono in due punti ben precisi, ci si arriva facilmente.
La prima tappa è un angolo con delle tigri gigantesche, c’è una fila: bisogna aspettare il proprio turno per toccarle e si possono toccare solo se accompagnati da uno dei volontari incaricati. Mille raccomandazioni: niente occhiali, niente movimenti bruschi, niente macchina fotografica (se vuoi una foto se ne occuperanno loro), niente urla, niente corse. Ed ecco che al mio turno un ragazzo giovanissimo si mette la mia macchina al collo, mi prende per mano e mi porta da una tigre all’altra, molto lentamente, molto dolcemente. È cosi magro che mi chiedo come possa difendermi da una cosa così enorme, mi chiedo se mi scatterà almeno una foto a fuoco, mi chiedo che sono venuta a fare in un posto così palesemente costruito, mi chiedo….e finalmente il tempo rallenta, proprio mentre allungo una mano per accarezzare la prima tigre, il tempo va piano, seguendo i passi lievi di tutti e poi si ferma, bloccato nel silenzio incredibile che regna. Non me lo aspettavo, che il pelo delle tigri fosse così duro, come le setole di alcuni pennelli molto usati. Le accarezzo con movimenti quasi rituali, più che timore lo stupore che si prova è una variante del rispetto religioso, è antichissimo, e viene da lontano…
Peccato che duri così poco, ma c’è la fila, per tutti gli stessi minuti, è la regola.
Ci si sposta poi nel punto dove stanno le tigri più giovani. Le accudiscono dei monaci arancioni, che le portano a spasso al guinzaglio come cani di città. Non sono molto pratica di vita religiosa ma mi colpisce uno dei monaci con il corpo completamente tatuato che sta fumando una sigaretta con una certa disinvoltura…insomma qui è tutto meno spirituale ma la gente si ferma estasiata per una foto o per guardare due tigri che giocano tra loro.
Il tempo vola, si alternano diversi gruppi di turisti mentre aspetto e osservo e mi perdo dietro l’obiettivo della macchina fotografica, sono incantata durante i giochi in acqua di due cuccioli… c’è una forte energia, un forte movimento, un forte dinamismo eppure il senso di disagio non mi abbandona.
Tutto sommato sono contenta di essere venuta, questo posto è al limite della gita turistica, in bilico tra natura e artefatto, ha il fascino del kitsch ben nascosto, anche se non so perché non sono del tutto convinta.
Lo capisco poco dopo, appena prima dell’uscita: mi accorgo di un'altra costruzione un po’ nascosta che sulla mappa non è descritta.
In una grossa vasca di cemento una vecchia tigre percorre il perimetro senza sosta alla ricerca infinita di un punto di fuga, attraverso un movimento che sembra guidato da un binario…avanti e indietro…avanti e indietro…
Strano a dirsi ma questa rete di contatti, maledizioni, portafortuna, “inoltra entro un minuto o muori”, quiz e test d’intelligenza, proviene dalla mia lista di amici. Per motivi a me ancora oscuri (perché non sono solita insistere nello spedire la stessa comunicazione) alcune di queste mail arrivano più di una volta, stanche di chissà quale giro infinito, avanti e indietro…avanti e indietro nel web…
È con la stessa stanchezza che guardo a volte questi PPT pieni di scritte poetiche e musiche smielate, con il giusto disincanto di chi sospetta che quella non sia proprio tutta la verità.
Così, quando scendendo le scale del mio hotel a Bangkok, mi sono imbattuta nell’omino delle escursioni che mi mostrava tutto fiero il suo catalogo fatto di ritagli e foto sbiadite sono rimasta interdetta: ho riconosciuto alcune foto che avevo ricevuto tramite posta elettronica!
Il mio modo di viaggiare è del tutto casuale, contro ogni percorso deciso prima della partenza, contro gli alberghi all inclusive e contro le escursioni premeditate…di solito mi occupo solo del biglietto aereo e poi mi affido ai buoni consigli di una guida lonely planet o alle dritte di chi c’è già stato, o di qualcuno che conosco sul posto e del posto…ma in questo caso la curiosità della coincidenza mi spingeva verso una verifica, quantomeno verso la prova tangibile dell’esistenza reale o pittoresca di un luogo raccontato da un file.
Ho contrattato un prezzo che mi garantisse spostamento e biglietto di ingresso e ho aspettato il giorno concordato, direzione: Tempio delle Tigri.
Dalla capitale, ci vogliono circa tre ore di macchina per arrivare (sosta più, sosta meno), il percorso, nel suo tratto finale, si arrampica un po’ ed è di un verde interminabile.
All’ingresso del tempio fanno qualche raccomandazione: anche rimanendo da soli è impossibile perdersi, le cartine sono chiare, i percorsi definiti e inoltre, assicurano, “le nostre tigri sono vegetariane”.
Improvvisamente mi ricordo di quanto detesto gli zoo. Dell’odore acre, degli sguardi rassegnati degli animali, liquidi e profondi, mi ricordo della tristezza che mi mettono nel cuore il non colore delle gabbie e le aiuole incollate intorno ai vialetti. Avverto lo stesso senso di disagio…ma quello che mi appare, superato il cancello di ingresso, non è uno zoo. È uno spazio grande, aperto, polveroso e rossastro dove passeggia qualche animale (cinghiali, cerbiatti, gnu, galletti….un cammello!), nessun felino. La mappa è chiara: le tigri sono in due punti ben precisi, ci si arriva facilmente.
La prima tappa è un angolo con delle tigri gigantesche, c’è una fila: bisogna aspettare il proprio turno per toccarle e si possono toccare solo se accompagnati da uno dei volontari incaricati. Mille raccomandazioni: niente occhiali, niente movimenti bruschi, niente macchina fotografica (se vuoi una foto se ne occuperanno loro), niente urla, niente corse. Ed ecco che al mio turno un ragazzo giovanissimo si mette la mia macchina al collo, mi prende per mano e mi porta da una tigre all’altra, molto lentamente, molto dolcemente. È cosi magro che mi chiedo come possa difendermi da una cosa così enorme, mi chiedo se mi scatterà almeno una foto a fuoco, mi chiedo che sono venuta a fare in un posto così palesemente costruito, mi chiedo….e finalmente il tempo rallenta, proprio mentre allungo una mano per accarezzare la prima tigre, il tempo va piano, seguendo i passi lievi di tutti e poi si ferma, bloccato nel silenzio incredibile che regna. Non me lo aspettavo, che il pelo delle tigri fosse così duro, come le setole di alcuni pennelli molto usati. Le accarezzo con movimenti quasi rituali, più che timore lo stupore che si prova è una variante del rispetto religioso, è antichissimo, e viene da lontano…
Peccato che duri così poco, ma c’è la fila, per tutti gli stessi minuti, è la regola.
Ci si sposta poi nel punto dove stanno le tigri più giovani. Le accudiscono dei monaci arancioni, che le portano a spasso al guinzaglio come cani di città. Non sono molto pratica di vita religiosa ma mi colpisce uno dei monaci con il corpo completamente tatuato che sta fumando una sigaretta con una certa disinvoltura…insomma qui è tutto meno spirituale ma la gente si ferma estasiata per una foto o per guardare due tigri che giocano tra loro.
Il tempo vola, si alternano diversi gruppi di turisti mentre aspetto e osservo e mi perdo dietro l’obiettivo della macchina fotografica, sono incantata durante i giochi in acqua di due cuccioli… c’è una forte energia, un forte movimento, un forte dinamismo eppure il senso di disagio non mi abbandona.
Tutto sommato sono contenta di essere venuta, questo posto è al limite della gita turistica, in bilico tra natura e artefatto, ha il fascino del kitsch ben nascosto, anche se non so perché non sono del tutto convinta.
Lo capisco poco dopo, appena prima dell’uscita: mi accorgo di un'altra costruzione un po’ nascosta che sulla mappa non è descritta.
In una grossa vasca di cemento una vecchia tigre percorre il perimetro senza sosta alla ricerca infinita di un punto di fuga, attraverso un movimento che sembra guidato da un binario…avanti e indietro…avanti e indietro…